L’approccio al bisognoso, applicazione letterale dell’”avete fatto a me” detto da Gesù (vedi Matteo, cap. 25), si è ammantato moltissime volte di eroismo nei 500 anni che presto l’ordine compirà. Occasione quasi privilegiata furono proprio le pestilenze quando, con pronta obbedienza mossa dall’impulso di non far mancare ai moribondi il balsamo del Cristo presente nei santi sacramenti, i frati con la barba e il cappuccio si sostituirono anche all’autorità pubblica inabile o sopraffatta dagli eventi e ai preti comprensibilmente non disponibili: la stessa approvazione canonica della riforma francescana dei Cappuccini venne favorita dalla stima unanime che si meritò nelle Marche l’iniziatore di essa, padre Matteo da Bascio, per il coraggioso impegno di vicinanza nelle pesti del 1525 e poi, con i primi compagni, 1527. Ancora nel Novecento, allorché (1911) a Venezia era scoppiato il colera, il “nostro” padre Odorico da Pordenone (Pietro Rosin, San Quirino 1868-Mestre 1962), più volte ministro provinciale veneto, non esitò a proporsi al patriarca, lui con i confratelli, per l’assistenza sanitaria e religiosa ai contagiati relegati nell’isola Sacca Sessola. “L’opera e il cuore di que’ frati meritano che se ne faccia memoria, con ammirazione, con tenerezza, con quella specie di gratitudine che è dovuta per i gran servizi resi da uomini a uomini, e più dovuta a quelli che non se lo propongono per ricompensa”. È Alessandro Manzoni al cap. XXXI de “I Promessi Sposi”, descrittivo della peste del 1630 ormai letteralmente scoppiata a Milano – che il massimo scrittore italiano rese la più celebre – a dare il senso e il fine di ciò che vogliamo qui non passi inosservato su una missione, che si fece spesso offerta suprema, cui rimandano le ripetute perdite fra i Cappuccini anche di questi drammatici giorni di pandemia: giorni che devono trarre insegnamento da esempi ed esperienze, pure religiose, del passato … per approfondire alleghiamo gli articoli apparsi sul settimanale “il Popolo” del 12.4.2019