Come ci fa pensare quanto scrive il Beato Marco d’Aviano: “Al tempo di san Gregorio papa in Roma e di san Carlo Boromeo in Milano, ambi questi due gran santi, trovandosi queste due città gravemente afflitte per una crudele pestilenza, in publiche procesioni si fecero vedere scorere le città vestiti di cenere, con piedi scalzi, una fune al col[l]o, con le lacrime a gl’occhi et con le voci dolenti implorare la divina misericordia; et ne furono esauditi… [Non ci] si può trovare in pegior stato di quello [che] si trova [ora]: onde ci vole penitenza grande e vera, et con il core veramente pentito gridare a Dio misericordia. Dio ci aiuti, essendo il bisognio estremo” (lettera all’imperatore Leopoldo I d’Austria, 9 dicembre 1688).
È un passo della corrispondenza del cappuccino con il sovrano d’Asburgo che colpisce particolarmente, e merita di essere fatto conoscere e meditato mentre il mondo, e tutta l’Europa, è alle ri-prese, in forma piuttosto grave, con la pandemia, obbligando a nuovi lockdown. Padre Marco veste i panni inconsueti di storico richiamando due fra le più tremende pestilenze che colpirono a ripetizione l’Italia: quella della Roma del 590 in cui venne eletto pontefice San Gregorio Magno quale successore di Pelagio II morto del morbo contagioso (il nuovo papa soccorse allora la popolazione anche dalla fame); e quella nota come “peste di San Carlo” perché vide a Milano nel 1576-77 il cardinale arcivescovo soccorrere in prima persona gli appestati.
“Gridare a Dio misericordia”! Pensiamo sia ciò che l’uomo deve ritrovare in momenti come gli attuali (papa Francesco lo interpreta nell’accezione del pianto): riconoscendo prima di tutto che Dio è il Signore degli accadimenti; e poi con la “viva speranza del Suo santo aiuto” di Padre “infinitamente buono e amoroso”, che dunque ama sempre, e perciò perdona e salva, l’uomo che a Lui torna “dal profondo del cuore”, “con intenso dolore” [dall’Atto di contrizione di Padre Marco].